Il regime Forfetario e il riscatto degli anni di Laurea
Di Giangiacomo Indri Raselli – Ordine di Padova.
Superato il tanto agognato traguardo dell’Esame di Stato per il giovane Dottore Commercialista ed Esperto Contabile si apre la via della carriera professionale tanto agognata che richiede, oltre a tanto entusiasmo, anche due adempimenti di natura fiscale e previdenziale ossia l’apertura di una posizione IVA e l’Iscrizione alla Cassa di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti (ovvero alla Cassa Ragionieri).
Nella stragrande maggioranza dei casi, per non dire la totalità, il regime fiscale prescelto dal giovane Collega che spessissimo continua a lavorare per il Dominus da cui ha svolto la pratica è quello agevolato noto anche come regime Forfetario.
Al di là degli aspetti fiscali di questa vecchia conoscenza del panorama tributario che sono oramai ben noti a tutti l’aspetto che maggiormente interessa il giovane collega che decida di intraprendere la Libera Professione è l’aspetto previdenziale o, per meglio dire, il criterio con il quale il professionista può portare in deduzione la contribuzione previdenziale versata al fine di ridurre il carico delle imposte. Della contribuzione obbligatoria la parte soggettiva e la maternità sono deducibili ed anzi sono l’unico onere deducibile da far valere nel regime Forfetario.
Inoltre è nelle primissime fasi della Professione che il giovane collega deve iniziare a pianificare con grande attenzione la propria posizione previdenziale per una serie di ragioni: per non incorrere in sanzioni in primis, ma anche per valutare attentamente la convenienza ad “affrancare” una serie di periodi scoperti dalla contribuzione antecedenti l’inizio della carriera in seno all’Albo.
Al di là della logica incomprensibile secondo la quale solo alcuni contributi versati antecedentemente l’iscrizione alla Cassa sono ricongiungibili in entrate ( la gestione lavoratori dipendenti può essere ricongiunta e la cosiddetta gestione separata non può esserlo ad esempio) risulta evidente che i periodi di Praticantato (o del servizio militare) e del corso di Laurea siano più convenientemente riscattabili i primi anni di carriera professionale nei quali, generalmente, i redditi percepiti dal professionista sono assai esigui che non in fasi più avanzate della carriera in cui, auspicabilmente, i redditi dovrebbero crescere e con essi l’onere per il riscatto degli anni di laurea o di praticantato.
Se il calcolo della effettiva convenienza del riscatto di questi periodi è una valutazione assolutamente soggettiva che concerne la propria disponibilità economica, la propria predisposizione al risparmio, la scelta tra altre forme di previdenza complementare o la scelta di avvalersi di altre opzioni disponibili presso la Cassa volte ad incentivare la costruzione di una solida posizione previdenziale del Professionista risulta in ogni caso opportuna una valutazione sulla possibilità di poter dedurre dal reddito prodotto il riscatto degli anni precedenti l’iscrizione alla Cassa ed in particolar modo quelli del periodo universitario, considerando che generalmente gli anni di tirocinio sono oggetto di pre-iscrizione e quelli del riscatto del periodo di leva sono un lontano ricordo per i più giovani.
Una recente risposta data dalla Agenzia delle Entrate all’Onorevole Currò N° 5-04241 del 25/06/2020 ha tuttavia espressamente negato la possibilità di portare in deduzione tali contributi volontari da parte di soggetti che abbiano optato per il regime agevolativo e che, ovviamente, non dispongano di altri redditi da assoggettare ad Irpef e dai quali poter dedurre tali importi.
Tale risposta appare tuttavia illogica per almeno due valide ragioni. La prima ragione è che si viene a creare una confusione tra contribuzione volontaria intesa come contribuzione che il professionista versa, ad esempio, a società di assicurazione per avere una prestazione previdenziale aggiuntiva (i c.d. fondi pensione) e contribuzione volontaria presso la Cassa di Previdenza (obbligatoria) andando in sostanza a spostare la parola volontaria prima o dopo la parola cassa. Come a dire: contribuzione volontaria alla Cassa o contribuzione a una Cassa volontaria. A rigor di logica non sono la stessa cosa ma la circolare ministeriale invece sembra considerarle uguali. Se l’impostazione fosse quella di considerare indeducibili anche i versamenti volontari alla Cassa allora andrebbero considerati indeducibili tutti quei versamenti che il contribuente può scegliere di fare alla Cassa senza esserne tenuto per obbligo ossia anche i versamenti ad una aliquota maggiore rispetto a quella minima. Anche questa impostazione appare illogica visto che la ratio della norma è proprio quella di incentivare i maggiori versamenti alla Cassa e non di dissuaderli come invece accade se gli stessi sono indeducibili.
La seconda ragione è che, analogamente al trattamento fiscale dei fondi pensione, va considerato il trattamento fiscale in “uscita” ossia quello che, all’arrivo della agognata pensione, avrà l’erogazione pensionistica. Infatti per le somme eccedenti il massimale deducibile o quelle che comunque il contribuente non ha dedotto la normativa fiscale prevede una sorta di pro rata di non imponibilità fiscale del trattamento pensionistico: se il contribuente ha dedotto, ad esempio, la metà dei contributi che ha versato allora la rendita che gli sarà erogata sarà imponibile solo per metà del suo ammontare. Analogamente i contributi alla cassa di previdenza che vengono dedotti portano alla generazione di un trattamento pensionistico imponibile ai fini Irpef. Non risulta comprensibile quindi questa disparità di trattamento in funzione della quale per il contribuente minimo gli oneri versati per il riscatto degli anni di laurea NON siano deducibili e al tempo stesso siano imponibili in sede di erogazione della pensione. Questo trattamento sembra andare nella direzione opposta rispetto alla ratio della norma che vorrebbe incentivare i giovani al riscatto degli anni di laurea rendendo, di fatto, preferibile rivolgersi alla previdenza privata la quale, non potendosi dedurre, per lo meno avrà una erogazione non imponibile al raggiungimento dei requisiti per ottenerne i benefici.
A questo punto sorge un dubbio: o la Agenzia delle Entrate ha invertito le parole contribuzione volontaria alla Cassa con contribuzione alla Cassa volontaria e da questo equivoco di parole ne è scaturita questa presa di posizione sulla deducibilità dei contributi o la Agenzia, una volta ancora, da un lato penalizza i piccolissimi contribuenti allettandoli con regimi di vantaggio che poi, a conti fatti, tutto questo vantaggio non hanno e invece con i grossissimi contribuenti si dimostra accondiscendente e accomodante.
Quale che sia la causa preoccupa il fatto che su un tema tanto importante quanto la gestione previdenziale dei professionisti l’Agenzia delle Entrate scelga di penalizzare soprattutto i giovani colleghi che decidano di destinare una quota dei propri non lauti guadagni alla costruzione di una posizione previdenziale ( e che la questione previdenziale sia LA questione che riguarda il futuro della nostra professione non mi stancherò mai di ripeterlo) e preoccupa ancora di più che non vi sia su questo tema importantissimo la stessa veemente protesta che si leva da più parti su temi quali equo compenso o lotta all’abusivismo e su cui sarebbe indispensabile una dura presa di posizione da parte dei nostri massimi organi di categoria.
Pubblicato sul Commercialista Veneto N° 264 Febbraio 2022