I paradossi del regime Forfetario
Di Giangiacomo Indri Raselli- Ordine di Padova
L’attuale regime agevolativo previsto per i titolari di partita IVA che va sotto il nome di Regime Forfetario è una vecchia conoscenza del panorama tributario Italiano. Dalla sua prima introduzione nel lontano 2011 come disciplinato dall’art. 27 comma 1 e 2 del D.L. n. 98/2011 che andava a modificare ed integrare ancora più indietro nel tempo il regime della legge 244 del 2007, il Regime forfetario ha dapprima affiancato e poi inglobato l’altro regime agevolativo che andava sotto il nome di Forfettino, quello per intenderci dell’art. 13 della Legge n. 388/2000.
Dalla sua modifica con la legge 98/2011 il regime Forfetario ha assunto vari nomi: Regime dei Minimi, Regime Fiscale di Vantaggio per le nuove attività, Regime per le nuove attività produttive ed ha cambiato volto e requisiti di accesso innumerevoli volte perdendo via via la sua originaria ratio che aveva in comune con il già citato Forfettino di semplificare ed agevolare le nuove iniziative di chi avesse deciso di intraprendere ora una attività in proprio ora una attività professionale tout court. Se andiamo ad analizzare quali fossero i previsti limiti dei ricavi questi erano molto stringenti e fissavano “l’asticella” a 30.000 euro e imponevano limiti sia di età anagrafica del contribuente che di età anagrafica ai fini IVA ossia i 5 anni dall’apertura della partita IVA stessa. Questi requisiti in particolare, uniti ad una serie di agevolazioni e semplificazioni molto estese, avevano la loro ragion d’essere nel permettere ad un contribuente giovane di approcciare la sua attività imprenditoriale e professionale senza essere gravato da tasse ed adempimenti che lo avrebbero sicuramente scoraggiato nei primi anni di attività che sono anche i più difficoltosi andando sostanzialmente a porre uno spartiacque superato il quale il contribuente avrebbe certamente avviato con successo la sua attività e quindi avrebbe potuto passare tra le file dei contribuenti ordinari oppure all’opposto avrebbe dovuto soltanto constatare la non economicità della sua attività e ripiegare in buon ordine e senza troppi danni verso il mare magnum del lavoro non autonomo.
L’attuale regime agevolativo appare invece molto diverso da quello inizialmente prospettato ai contribuenti essendosi alzato il limite dei ricavi a 65.000 euro (ma si era parlato di elevare tale limite a 100.000) ed avendo perso qualsiasi riferimento ai limiti di età o di anzianità IVA. Nei fatti secondo la normativa vigente un soggetto che fatturi meno di 65.000 euro annui può godere di questo regime agevolativo in teoria indefinitamente a patto che non entri in società (di persone o trasparenti) con alcuno, che non assuma collaboratori sopra una determinata soglia e che non abbia beni ammortizzabili di rilievo (o una delle altre cause di esclusione).
Tale struttura normativa, che nella sua impostazione originaria avrebbe dovuto incentivare i giovani ad aprire partita IVA e buttarsi nell’attività professionale o imprenditoriale rischia di ottenere il risultato diametralmente opposto per almeno tre paradossi che tutti noi abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Andiamo a vedere quali:
1) Le tasse non sono cosi basse: ancorchè questo regime sia stato venduto ai contribuenti come la panacea alla pressione fiscale insostenibile in questo Paese a conti fatti un reale risparmio spesso non si realizza. A parte il primo quinquennio in cui, ad oggi, si applica una aliquota realmente bassa (oggi pari al 5%), a regime l’aliquota non è cosi premiante rispetto alla aliquota base IRPEF. Se consideriamo poi che i costi non sono deducibili se non forfetariamente, che l’IVA sugli acquisti viene perduta e che, previdenza obbligatoria a parte, tutti gli altri oneri deducibili o detraibili tranne qualche rarissima eccezione vengono persi, il vero impatto fiscale è molto meno appetibile di quanto si immagini il contribuente. Contribuente il quale, magari migrato al regime dal precedente regime “normale” si immagina di veder azzerati gli F24 con le imposte e quando a Giugno riceve l’amara sorpresa di vedere solo un minimo risparmio si scaglia contro i suoi consulenti con ogni genere di lamentela e di lagna. Queste imposte che il contribuente non si immaginava di ricevere si riverberano poi in la nel tempo con acconti versati in ritardo, sanzioni, preavvisi di irregolarità che in breve tempo erodono tutti quei vantaggi in termini di snellimento burocratico che, a mio avviso, costituivano il vero vantaggio di questo regime.
2) E’ un regime per contribuenti “senior”: Per strano che possa sembrare è proprio così. Una parte non trascurabile di contribuenti non sceglie questo regime come Start-Up ma come chiusura di carriera. Spesso un professionista che decide di chiudere in bellezza la sua attività cede l’immobile dove esercitava, liquida tutti o quasi i beni dell’attività e il personale eventualmente assunto e si tiene quei pochi clienti con cui lavorare magari appoggiandosi alla struttura di un collega e proseguire così con la soddisfazione di lavorare con i migliori clienti del suo studio ma senza avere l’ingombro di una struttura di costi che, in molti casi, era stata pensata e costruita in anni nei quali era redditizia mentre oggi ha molto meno appeal. In moltissimi casi le richieste di aderire a questo regime non mi sono arrivati da giovani imprenditori o professionisti volenterosi ma da professionisti esperti che cercano una soft way out per la loro carriera professionale che comincia a vedere il traguardo di arrivo.
3) Non incentiva i giovani a crescere: Altra criticità è che questo sbarramento dei ricavi non incentiva i giovani a crescere ma anzi li dissuade. Una delle richieste che io ricevo più spesso negli ultimi mesi dell’anno mi arriva dagli appartenenti a questo regime che vogliono stare ben attenti a non superare questo limite di fatturato e vedono quasi come una sventura quella di crescere come ricavi e come fatturato ed anzi spesso rifiutano dei lavori pur di non vedersi estromettere da questo regime. Se poi aggiungiamo che tutte le forme di crescita e di aggregazione, pensiamo alla creazione di una struttura associata tra professionisti o l’assunzione di personale dipendente o l’acquisizione di cespiti di ammontare rilevante portano all’automatica fuoriuscita dal regime agevolativo il quadro ci appare completo.
Qualsiasi giovane che oggi intenda crescere nella sua attività imprenditoriale o professionale si vede quindi sbarrare la strada da una norma agevolativa che in fin dei conti non agevola poi cosi tanto ma che in compenso agevola i professionisti Senior che intendono chiudere delle strutture magari avviate da anni e che vogliono solamente gestire un piccolo pacchetto di clienti fino alla pensione.
Sorvolo sulla questione, già ampiamente dibattuta a livello più elevato del mio, sulla costituzionalità di queste misure “flat” che vedono un professionista che abbia ricavi al di sotto della soglia fatidica dei 65.000 e che magari abbia un certo numero di immobili abitativi locati in regime della Cedolare Secca e che si vede, a fronte di un reddito di 100.000 euro una tassazione molto diversa rispetto ad un lavoratore dipendente o a un professionista in regime normale che a fronte dello stesso reddito paga importi di tasse sensibilmente maggiori, andando ad alimentare il falso mito che noi Commercialisti si disponga sempre della ricetta magica per avere grossi introiti senza pagarci su le imposte.
La questione che andrebbe secondo me affrontata è di come agevolare chi intraprende una attività professionale ed imprenditoriale e di come farlo sia a livello di imposizione fiscale sia a livello di crescita.
Proviamo a immaginare quali potrebbero essere delle possibili opzioni in questo senso:
1) Regime agevolativo agli studi associati: si potrebbe pensare di applicare, a determinate condizioni anti abusive ovviamente, un regime agevolativo fiscale a quei professionisti che decidano di costituire una associazione professionale start up. Una aliquota del 15% per un quinquennio da applicarsi ai giovani under 40 che costituiscano una associazione professionale sarebbe di certo un bell’incentivo a fare squadra e a mettersi in proprio andando a incidere su uno degli aspetti critici della nostra e di molte altre professioni che è una dimensione media degli studi professionali molto esigua.
2) Una doppia aliquota agevolativa che consenta di crescere da un lato ma non essere subito fagocitati dal marasma fiscale: pensiamo ad esempio ad un 15% fino al limite dei 65.000 euro ed un 20% ad esempio fino a 100.000 euro. In questo modo di renderebbe più progressiva la imposizione fiscale e meno traumatico l’arrivo, dopo i 100.000 euro, al regime naturale di pagamento delle imposte.
3) Eliminare quella selva di dichiarativi fiscali del tutto inutili perché duplicati di altri dichiarativi e quelli palesemente sproporzionati rispetto all’effettiva capacità di contrasto dell’evasione fiscale rispetto alle dimensioni del soggetto controllato: ha davvero senso ricorrere alla fatturazione elettronica per un soggetto esente iva che magari fatturi 20.000 euro annui? Non sarebbe meglio un servizio di tutoraggio fiscale o di conformità da parte di un professionista abilitato?
4) Strumenti di semplificazione fiscale con i quali, ad esempio usando dati già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria, si possano predeterminare dei redditi su base ad esempio quinquennale e liberare cosi migliaia di minuscole attività o di minuscoli professionisti che arrivano si e no alla soglia dei 30.000 euro di ricavi dal tormento di dichiarativi, calcoli di imposte e mille altri adempimenti che, a voler essere generosi ci vengono pagati una miseria o non ci vengono pagati affatto. Ha senso che una edicola o un piccolo chiosco di gelati paghino sulla base di calcoli analitici e non sulla base di uno studio di settore che calcoli in maniera forfetaria un reddito e poi liberi il contribuente da mille adempimenti e noi professionisti da questi mille minuscoli contribuenti per cui un pagamento di nostre competenze di qualche decina di euro diventa un problema?
L’ultima considerazione che mi sento di fare è che di proposte da fare per mettere mano all’attuale sistema di imposizione fiscale ce ne sarebbero moltissime e si ha sempre l’impressione che chi ci ha messo mano sino ad oggi non abbia la minima dimestichezza con la materia e che non si sia mai chiesto concretamente che effetto abbia su chi lavora questa selva di norme illogiche. Insomma che non ci abbia mai messo mano un Dottore Commercialista ed Esperto Contabile.
Pubblicato sul Commercialista Veneto N° 266 di Marzo/Aprile 2022