Con il decreto legislativo 14 del 12 gennaio 2019 il legislatore ha dato attuazione della legge 155/2017 contenente la c.d. Riforma della Crisi di Impresa. Tale decreto, nel fissare i criteri e i limiti dimensionali di questa riforma, ha estesamente modificato non solo e non tanto il “diritto fallimentare” tout court che è appannaggio di un numero invero abbastanza ristretto di Colleghi che si occupano prevalentemente della Crisi di Impresa, ma ha anche introdotto una serie di misure volte a prevenire la Crisi di Impresa stessa o, per meglio dire, ha istituito una serie di campanelli di allarme volti a far si che lo stato di Crisi di Impresa si manifesti quando oramai il danno arrecato ai vari stakeholders (dipendenti, fornitori, istituti di credito, erario e Inps) sia irreversibile. L’articolo 14 del Decreto 14/2019, in particolare, pone a carico degli organi sociali di controllo (Sindaci o Sindaco unico, Revisore Legale o Società di Revisione) l’obbligo di segnalare per iscritto o comunque con mezzi che consentano di avere la prova della avvenuta ricezione all’organo amministrativo l’insorgenza di fondati inizi di una situazione di crisi aziendali. Tale segnalazione è fondamentale per esonerare dalla responsabilità aziendale i professionisti i quali, sempre più spesso, vengono chiamati a rispondere delle situazioni di insolvenza o di illiquidità delle società.
L’articolo 14 della legge 155/2017 ha invece estesamente modificato il “perimetro” all’interno del quale le società sono o meno tenute alla nomina degli organi di controllo sopracitati stabilendo che, a differenza delle vecchie regole dell’articolo 2477 C.C. che prevedevano, esclusi i casi eclatanti quali il bilancio consolidato o il controllo di una società obbligata alla revisione legale, il superamento per due esercizi consecutivi di due dei seguenti tre limiti: ricavi superiori a 8.800.000 Euro, attivo superiore a 4.400.000 Euro e numero di dipendenti superiore a 50, i nuovi limiti che fanno scattare l’obbligo sono uno (e non due) dei seguenti limiti da superare per due anni consecutivi: ricavi superiori a 2.000.000 Euro, attivo superiore a 2.000.000 Euro e dipendenti superiori a 10. L’evidente ratio della norma sembrerebbe pertanto quella di assoggettare un più ampio numero di soggetti (alcune stime ritengono che passeranno da circa 20.000 a circa 200.000) tenuti al controllo legale dei conti in maniera da evitare che lo stato di crisi e di insolvenza si possa manifestare senza che nessuno prenda opportune contromisure prima che la società sia in uno stato di difficoltà irreversibile.
I primi commenti a caldo del mondo politico ed industriale, comparsi sui maggiori quotidiani, hanno prestato il fianco ad una serie di luoghi comuni che da sempre colpiscono la nostra professione. Da un lato siamo stati tacciati di voler imporre una sorta di tangente al mondo imprenditoriale, quasi come se la carica di Sindaco o di Revisore Legale fosse un incarico molto ben remunerato e senza rischi, quando sappiamo benissimo che è vero esattamente l’opposto. Il mondo politico invece ha visto in questa riforma una opportunità per il nostro ordine di vederci riconosciuto un ruolo centrale nello sviluppo economico e nella gestione delle crisi. Ma quali sono le effettive criticità di questa riforma e quali saranno le conseguenze dirette per tutti noi ancora non ci è stato dato di sapere.
Proviamo a darci delle risposte. Innanzitutto la platea dei soggetti tenuti alla nomina dell’organo di controllo è stata ampliata verso il basso. I limiti che sono stati posti sono talmente bassi che una serie di società con una “operatività” anche minima si troveranno costrette a nominare un organo di controllo. Pensiamo ad una società immobiliare che abbia un unico immobile del valore superiore a 2.000.000 Euro e che emetta dodici fatture all’anno oppure ad un pubblico esercizio, un ristorante ad esempio, che abbia undici dipendenti, entrambe queste società si troveranno costrette alla nomina di un organo di controllo. è immaginabile che una società domiciliata presumibilmente da un collega o presso un professionista che emette dodici fatture l’anno avvii un credibile processo di Revisione Legale con tanto di mappatura delle procedure, circolarizzazioni di clienti e istituti di credito, calcolo della materialità, decine di documenti su indipendenza del revisore, accettazione dell’incarico, lettere di attestazione e via dicendo?
Altro tasto dolente sono questi indicatori di “crisi” che dovrebbero far attivare da subito gli organi di controllo a pena di una loro responsabilità solidale con l’imprenditore. Ferma restando che la loro riformulazione non ha dissipato i dubbi sorti con la loro indicazione iniziale, ma anzi ha reso se possibile ancor più farraginoso e vago il concetto di determinazione dello stato di insolvenza o crisi, la sola cosa che appare evidente è che gli organi di controllo devono sostanzialmente attivarsi alla minima avvisaglia di illiquidità della società, per evitare di essere chiamati ad una responsabilità solidale con l’imprenditore.
Vista la crisi oramai decennale che sta colpendo l’intero settore produttivo del paese chiedere a degli organi sociali di segnalare tempestivamente una società che sia in difficoltà a pagare i propri fornitori, o onorare i propri impegni con gli istituti di credito o versare tempestivamente imposte e contributi è come mandare dei vigili urbani a fare multe per eccesso di velocità a un Gran Premio di Formula uno.
Come se non bastasse il mondo politico, che di questa riforma ha voluto si è voluto fare paladino riconoscendoci un ruolo “centrale” nel sistema produttivo di questo Paese, si è però dimenticato, e con la nostra Professione è oramai una prassi consueta, di introdurre delle misure premiali per chi si sobbarca un compito che, a ben vedere, dovrebbe essere di competenza di altri operatori economici (Tribunali, Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate, ecc.). La totale assenza di una tariffa professionale, che è la prima salvaguardia per le attività che i Professionisti svolgono a beneficio della collettività è la riprova che lo scopo di tale riforma non è affatto quello di prevenire la crisi, bensì quello di spostare sulle nostre spalle e sulla nostra polizza professionale i costi dei fallimenti delle imprese. Il Legislatore in buona sostanza si immagina che un professionista possa andare da un imprenditore per effettuare una attività che dovrebbe fare un organo dello stato, minacciandolo di portargli i libri in tribunale al primo momento di difficoltà, che lo possa fare a spese dell’imprenditore e senza nemmeno avere uno straccio di compenso minimo.
Il legislatore inoltre, colto da preoccupanti vuoti di memoria, si dimentica il vero grande problema degli organi di controllo sociali nel panorama economico italiano: l’indipendenza. è ovvio che nel momento stesso in cui un imprenditore sceglie l’organo di controllo (che non viene nominato da terzi, ad esempio il tribunale), sceglie quanto remunerarlo e non ha l’obbligo di sostituirlo a prestabiliti intervalli di tempo, la questione dell’indipendenza ha già perso la più parte della sua utilità, in ogni caso la stragrande maggioranza delle nomine avviene tramite una rete di contatti personali e professionali che inficiano ancor di più l’indipendenza dell’organo di controllo rispetto al soggetto che a tale controllo è sottoposto.
Se questo avviene con società di dimensioni medie o medio grandi, possiamo solo immaginare cosa possa avvenire per società piccole o piccolissime che non hanno praticamente nessun rapporto professionale salvo quello con il consulente fiscale di fiducia. In buona sostanza l’estensore di questa riforma si immagina che la società immobiliare di cui all’esempio poco sopra riportato o il ristorante con undici dipendenti che sono seguiti da un commercialista magari da decenni di punto in bianco, in una sorta di furore mistico di indipendenza, pubblichino un annuncio su un quotidiano per ricevere tre proposte di Revisione legale tra le quali scegliere la migliore.
Il mero buon senso e l’aver esercitato questa professione per un numero minimo di anni ci lascia invece intuire che non solo il micro imprenditore non si rivolgerà a terzi sconosciuti per farsi controllare il bilancio ma anzi che chiederà a noi di trovare una soluzione a questa nuova ed inutile incombenza, ma cercherà inoltre di spendere meno soldi possibili per questa attività di controllo.
Quale è il probabile scenario cui andremo incontro nella nostra attività professionale? Volendo escludere la sola opzione che sarebbe auspicabile, ossia una levata di scudi dei nostri massimi esponenti che faccia presente al legislatore che non siamo dei suoi succubi dipendenti e che prima di modificare tanto estesamente la normativa societaria un confronto con i principali operatori economici del sistema produttivo sarebbe non solo utile ma indispensabile per evitare queste situazioni, possiamo solo immaginare in che modo questa riforma ci toccherà.
Innanzitutto ciascuno di noi dovrà monitorare quali società presso il proprio studio superano i limiti previsti dalla normativa per la nomina di un organo di controllo e darne tempestiva informazione al cliente per evitare il “collo di bottiglia” dei nove mesi previsti dalla normativa per la modifica degli statuti per prevedere la nomina degli organi di controllo.
In seconda battuta ciascun professionista dovrà valutare delle forme di gentleman’s agreement con dei colleghi così da poter proporre ai propri clienti un ventaglio di nomi tra cui scegliere per poter nominare i propri organi di controllo avendo ben presente la primaria necessità di mantenersi estranei al processo di selezione e remunerazione dei colleghi cosi da mantenere il principio di indipendenza il cui mancato rispetto espone tutte le parti a rischi considerevoli, ma avendo per lo meno il beneficio di semplificare a livello logistico la attività di revisione la quale, manco a farlo apposta, si concentra in quei mesi dell’anno in cui le scadenze fiscali e le necessità di depositare i bilanci si fanno più che mai pressanti.
L’unico suggerimento costruttivo che possiamo proporre è quello che il Consiglio Nazionale, nella evidente impossibilità di mettere mano a questa riforma, per lo meno licenzi dei nuovi documenti relativi alla attività di Revisione Legale, sulla sorta di quelli già emessi in tema di revisione di Piccole e Medie Imprese, che tengano conto che, alla luce di questo cambiamento normativo ci troveremo ad operare con imprese microscopiche ed assolutamente incapaci di sostenere come tempi e come costi un processo di revisione paragonabile a quello di imprese con almeno un embrione di struttura amministrativa, dando luce a un documento che riduca al minimo i controlli necessari e che non ci esponga a rischi professionali assolutamente sproporzionati al beneficio per la collettività ed ai nostri compensi.
Altrimenti rischieremo di trovarci a circolarizzare l’unico cliente di una società immobiliare o a inventariare alla fatidica data del trentuno dicembre le rimanenze di vini in un ristorante con undici dipendenti, anche se in effetti quest’ultima prospettiva rischia di essere il solo lato positivo di questa riforma.
Da IL COMMERCIALISTA VENETO – NUMERO 247 / 2019 – pp. 16-17