Lettera aperta al Direttore
Giangiacomo Indri Raselli Ordine di Padova
Caro Direttore, ho letto con viva attenzione i tuoi ultimi editoriali sulle pagine del Commercialista Veneto e ne ho preso spunto per alcune riflessioni sullo stato della Professione che vorrei condividere con tutti immaginando che i tuoi editoriali avessero come scopo l’avvio di un proficuo dibattito.
Parto con due premesse: la prima è che sono ovviamente del tutto d’accordo con quanto hai scritto sullo stato in cui versa la Professione al giorno d’oggi, tra mancanza di un giusto riconoscimento del nostro apporto all’economia del Paese e una concorrenza che erode quasi ogni nostro margine di guadagno, tra riforme e semplificazioni che di semplice non hanno nulla ed esigenze della spesa pubblica che oramai non sono più gestibili. La seconda è che la Professione, cosi come viene intesa oggi, sta vivendo un momento di intensa crisi, che si manifesta tra le altre cose con un sempre minor appeal tra i giovani i quali stanno letteralmente disertando il tirocinio professionale per tentare altre strade di carriera, con effetti sul medio lungo periodo della Professione che ad oggi sono difficili da immaginare.
Le tue parole sullo stato della Professione mi hanno riportato alla mente le parole con cui un affermato Dottore Commercialista di Padova, da cui ero andato ancora universitario a chiedere lumi su un possibile sbocco post- laurea, mi rispose circa l’opportunità di intraprendere questo lavoro. Mi disse che non c’era più alcuna possibilità di trovare un minimo di soddisfazione economica, che la professione si era ridotta al mero adempimento di formalità amministrative, che l’automazione ci avrebbe presto (5 anni nelle sue previsioni) privato di qualsiasi mansione, che la necessità di fare accertamenti automatici avrebbe presto portato alla “contabilità per cassa” e che le imposte sarebbero presto state calcolate dagli Istituti di Credito, lasciandoci così relegati ai margini del mondo economico e che avrei molto più saggiamente potuto optare per un impiego in una multinazionale dei servizi professionali o meglio ancora in una di queste banche locali del territorio che, bene o male, sono una garanzia di impiego sicuro e remunerazione soddisfacente.
La prima e più ovvia considerazione che mi è venuta in mente è che la Professione è da moltissimo tempo che “soffre”. Soffre la mancanza di una vera esclusiva, che però non ha mai avuto sin dalla sua fondazione, soffre una concorrenza spietata, altra malattia cronica direi ma che dalle Associazioni di Categoria agli iscritti ad altri Albi abbiamo sempre affrontato, soffre di un rapporto patologico con l’Amministrazione Finanziaria che ci considera al tempo stesso degli inventori di scappatoie fiscali (mentre gli Escapologi vanno in Parlamento) e valletti dei funzionari cui dobbiamo portare fotocopie di documenti già in loro possesso, in barba allo Statuto del Contribuente che, un po’ come l’isola di Vanuatu, tutti hanno sentito nominare ma nessuno ha la più vaga idea di dove sia e a cosa serva. Tutte queste malattie però non sono recenti. Ne soffriamo da quando, nel secondo dopoguerra, sono stati istituiti gli Ordini Professionali e non possiamo certo dire che siano una novità dell’ultimo periodo.
La seconda è che se è pur vero che negli ultimi anni la nostra Professione ha sofferto molto è parimenti vero che hanno sofferto molto tutti: società di consulenza e revisione, associazioni di categoria e banche in primis. Se avessi detto al Collega da cui ero andato a chiedere lumi che sarebbero state alcune banche del territorio a chiudere i battenti e non il nostro Ordine probabilmente mi avrebbe preso per matto, eppure è andata esattamente così. Inoltre, pur non avendo in mano i relativi bilanci e quant’altro, fatico a credere che la contrazione dell’economia del Paese non abbia parimenti messo in grossa difficoltà l’intero settore delle associazioni di categoria che da sempre ci danno battaglia o che le grosse società di consulenza e revisione non abbiano sentito anche loro il morso della crisi e che non abbiano dovuto contrarre i costi e la forza lavoro.
Un’ultima considerazione mi viene da una recente esperienza come docente universitario. Alcuni studenti si sono rivolti a me per avere consigli sulla tesi di laurea e su possibili sbocchi e nessuno ha menzionato la carriera professionale: chi ambiva alla grande azienda, chi a concorsi nel pubblico, chi a una esperienza all’estero, chi a un impiego in banca e chi nelle multinazionali della revisione e della consulenza. La parola libera professione non la ho sentita nominare neppure una volta. Alla mia domanda sul perché nessuno volesse prendere in considerazione questa strada hanno tutti scrollato le spalle: i pochi professionisti cui si erano rivolti li avevano nella migliore delle ipotesi sconsigliati e avviliti, le poche notizie sulla carta stampata o sui siti parlavano solo di un lavoro massacrante, di pochissime soddisfazioni, di stipendi da fame e così via.
Non ho potuto fare a meno di pensare a quel fenomeno che la sociologia chiama “Profezia che si autoadempie”: qualcuno grida sul mercato che una banca è illiquida, il mercato si allarma e tutti vanno a ritirare i propri risparmi e la banca diventa veramente illiquida. Nel nostro caso tutti dicono che la nostra Professione è morta e sepolta, i migliori talenti intraprendono pertanto altre carriere e alla fine la nostra Professione sarà veramente morta e sepolta.
Credo che il punto sia proprio questo! Banche, Assicurazioni, Società di consulenza e revisione sono come noi alle prese con difficoltà enormi ma a differenza della nostra categoria si pongono nei confronti dell’esterno con un piglio ottimista e fiducioso cosi da attrarre dalla fucina universitaria e dalle scuole i migliori elementi, che invece potrebbero a maggior ragione intraprendere la strada della Professione la quale, se è pur vero che soffre, è pur vero che sa dare a chi le dedichi un minimo di sforzo, delle soddisfazioni non comuni.
Mi permetto quindi, Caro Direttore, alcune riflessioni le quali, ben lungi dallo scalfire quanto hai scritto su queste pagine e che condivido appieno, potrebbero a ben donde invogliare ancora qualche giovane diplomato o laureato a intraprendere la strada della professione che, se pur ripida e faticosa, resta pur sempre una strada intrapresa da qualcosa come 120.000 colleghi.
Provo a elencarne alcune.
Assenza della tariffa. Svantaggio o opportunità?
Uno dei temi più dibattuti è la sostanziale assenza di una tariffa professionale che in qualche modo, insieme alle esclusive della Professione, differenzia il nostro Ordine professionale da tutti, o quasi, gli altri.
E’ pur vero che questa assenza ha dato il via a una deflazione di prezzi e tariffe applicate per le attività ordinarie per le quali oggi sovente accade di vedere pubblicità di servizi contabili e fiscali a poche centinaia di euro che offrono servizi a forfait prestati da ogni ridda di imprenditori.
Tuttavia questa assenza ha per lo meno due grossi, anzi grossissimi vantaggi. Il primo e più ovvio è che non ha intaccato se non in misura molto ridotta la prestazione professionale di medio e alto livello. In parole povere se è vero che per una pratica camerale o per un modello ISEE il cliente cerca di spendere il meno possibile, è altrettanto vero che un imprenditore che, alla fine della sua carriera imprenditoriale, voglia gestire un passaggio generazionale ( è solo un esempio) e ha bisogno di un professionista serio e capace che gestisca aspetti economici, fiscali, generazionali, finanziari, familiari, successori e che abbia la regia dell’intera operazione coordinando altri professionisti (Geometri, Avvocati, Notai eccetera) perché è il solo ad avere una visione a 360 gradi di tutte le possibili criticità non può che rivolgersi a un professionista del nostro Ordine e a riconoscergli, anche economicamente, queste capacità.
Il secondo vantaggio è che l’assenza di una tariffa vincolante fa sì che, a differenza di altri ordini professionali, il nostro compenso essendo il frutto di una negoziazione ragionata in termini di lavoro, di prestazioni, di vantaggi per il cliente, di efficacia delle nostre scelte viene generalmente ben visto dal cliente il quale magari mugugna un po’, chiede un piccolo sconto, ma fondamentalmente paga e non ha quasi mai la sensazione di trovarsi intrappolato in un macchinario che lo stritola. Altre professioni, penso a quelle di tipo giuridico, hanno una tariffa spesso svincolata dal lavoro effettivamente svolto o dagli esiti di un contenzioso. In poche parole l’imprenditore si trova di fronte a un contenzioso di un determinato ammontare e si sente richiedere una frazione di questo ammontare a prescindere dal lavoro effettivamente svolto e a prescindere dall’esito della lite ossia la famosa dicotomia tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato la quale, invocata spesso in caso di soccombenza nel corso della lite, fa infuriare gli imprenditori i quali, sbollita la collera, preferiscono di gran lunga appoggiarsi a professionisti del nostro Ordine con cui avere dei rapporti economici dettati da una libera negoziazione e non vincolati a tariffe che vengono viste, nella migliore delle ipotesi come dei retaggi di corporazioni medioevali, nella peggiore come un sistema ai limiti del truffaldino con cui un professionista acquisisce un diritto a un compenso a fronte di un risultato nullo.
Lavoro dipendente o lavoro in proprio?
Altra considerazione che mi sento di fare riguarda il lavoro in proprio. Per quanto entusiasmante possa essere lavorare in una grossa azienda, in un istituto di credito, in una multinazionale si è sempre dei dipendenti. E mentre anche il più affermato manager all’apice della sua carriera ha un superiore a cui deve rendere conto del proprio operato e dei propri risultati (fosse anche l’assemblea dei soci) un libero professionista no ed è una differenza abissale. Un dipendente che lo si creda o no lavora sempre per arricchire qualcun altro sia esso un imprenditore o una multinazionale dell’elettronica. Un libero professionista lavora per sé stesso, per accrescere il suo benessere, il suo studio, il suo pacchetto di clienti. Avere un proprio studio che un domani si possa cedere a un collega o tramandare a qualche nuova leva è un asset del tutto estraneo a chi lavora in azienda.
La soddisfazione nel prendere nuovi incarichi, nel vedere crescere il proprio studio, nel vedere i propri praticanti abilitarsi, i propri clienti raggiungere successi e traguardi è qualcosa di esaltante che ripaga di lavoro, studio, fatica, rischi e tutte le altre cose che ci spingono a mugugnare (sovente a ragione).
Che poi uno ci sia tagliato o meno questo è tutt’altra faccenda ma chi è portato per la libera professione presto o tardi in una azienda altrui si sentirà stretto e tenterà di mettersi in proprio e di prendere una sua strada.
Rapporto con l’imprenditore
Questo è un aspetto che in pochi, al di fuori la professione, possono comprendere. A tutti noi sarà capitato di essere interpellati da un cliente in occasione della morte di un congiunto o della nascita di un figlio o in occasione di altre tappe fondamentali della vita: mettersi in proprio, lasciare ai propri figli l’attività, un fallimento e così via. Questo deriva dal fatto che la nostra professione permeando completamente la vita degli imprenditori e delle imprese ci rende una figura indispensabile (anche troppo a volte) e questo essere indispensabili, questo essere interpellati sempre nelle vicende importanti di imprenditori e aziende, privilegio che pochissimi altri professionisti hanno, è una sensazione che una volta provata risulta quasi irrinunciabile. Un imprenditore anni fa al termine di una infuocata riunione disse con tono ieratico: “in questa azienda tutti sono utili e nessuno è indispensabile!” salvo aggiungere poi, strizzando l’occhio al suo Commercialista che lo seguiva dagli esordi, “tranne il Commercialista!”. Aveva raccolto in una battuta salace un ruolo imprescindibile e indispensabile che solo chi è stato investito di tanta importanza e di tanta fiducia può comprendere.
Capacità personali
Moltissime volte nel corso degli anni mi sono sentito chiedere se questo continuo studiare materie tanto diverse tra di loro, se operare in settori tanto differenti, se avere a che fare con attività così distanti tra loro come bilanci e imposte, Camera di Commercio ed esportazioni, verifiche sindacali e contenziosi tributari non siano per noi Commercialisti una fonte di stress enorme. Io mi sono sempre limitato a rispondere che sicuramente la nostra è una attività impegnativa ma che per me lo stress sarebbe la monotonia, il vedere come fanno alcuni responsabili amministrativi di aziende un solo bilancio all’anno, una sola dichiarazione dei redditi su cui magari, ad anni alterni, la Agenzia delle Entrate fa sempre gli stessi rilievi a cui si risponde sempre allo stesso modo ottenendo sempre lo stesso esito. Quello sarebbe per me e immagino per tutti il vero stress. Avere una gran testa e non poterla usare sarebbe per noi il vero tormento (e per inciso quella di avere in media una gran testa è un fatto che tutti gli imprenditori ci riconoscono!) e credo che anche chi, oggi seduto nei banchi dell’Università, abbia quel guizzo di ingegno, quella curiosità innata, quella associazione di idee che altri non hanno dovrebbe chiedersi quale dei due nemici mortali vuole affrontare per primo: la fatica o la noia. Se la risposta è la noia dovrebbe valutare seriamente la libera professione che avrà tutti i difetti del mondo ma quello di annoiare di sicuro no.
Flessibilità
Un’ultima considerazione che spesso appare scontata ma che non lo è affatto e questa recente pandemia del Covid-19 lo ha dimostrato senza tema di smentita è la flessibilità della nostra professione.
La libera professione infatti consente di spostarsi tra i vari settori in cui si svolge o di cambiare tipologia di clienti o di organizzazione permettendo al professionista di adattarsi velocemente al cambiare del contesto economico e competitivo in cui opera. Il professionista che opera nel settore della consulenza ordinaria potrà, laddove lo ritenga opportuno, spostare ad esempio il business del proprio studio sul controllo di gestione oppure un collega che per anni abbia operato nel contenzioso tributario potrà dedicare una parte del suo tempo alle procedure concorsuali o alla composizione della crisi. Analogamente chi, a causa del Covid-19, abbia visto chiudere molti esercizi commerciali potrà spostare il focus della sua consulenza al terzo settore, o ai professionisti e trovare così il modo di reagire alla crisi. Questa flessibilità, che ci consente al tempo stesso di cambiare e di essere comunque noi stessi è un po’ il segreto con il quale il Collega cui mi ero rivolto tanti anni or sono per chiedere lumi sulla Professione e ne preconizzava una morte annunciata, invece esercita ancora, a distanza di 25 anni e più e, al di là di lamentele e mugugni che sono sicuro sentiranno ancora provenire dal suo ufficio, ha saputo reinventarsi e continuare a esercitare questo magnifico lavoro. Non sono affatto sicuro che chi, anni or sono, avesse scelto un sicuro impiego in una delle Banche del nostro territorio che è finita gambe all’aria si sia potuto risollevare dalla crisi o reinventare così facilmente.
Per concludere ritengo che la nostra Professione necessiti di una maggior attenzione a livello istituzionale e che sia assolutamente necessaria una revisione dell’attuale ordinamento giuridico che rapporta la nostra Professione con gli altri interlocutori istituzionali. Ritengo parimenti che sia necessario da parte della nostra categoria porre maggior attenzione a non rappresentare il nostro ruolo nell’economia del Paese esclusivamente in termini pessimisti e quasi catastrofici, sottolineando invece il nostro fondamentale apporto alle imprese, alle istituzioni e alle soddisfazioni economiche e non solo che, a voler essere obiettivi, questa professione sa ancora dare a chi la intraprende, nella speranza che qualche giovane intelligente e volenteroso oggi seduto sui banchi di qualche Ateneo non ceda alle lusinghe di qualche multinazionale blasonata e tenti questa carriera.
Giangiacomo Indri Raselli